IL GIUSTO MEZZO: IL CORPO NELLO SPORT

 

“Siamo i genitori di Alice, 10 anni, che dalla prima elementare fa ginnastica artistica. Essendo minuta ed elastica riesce bene e le insegnanti hanno insistito per passarla in agonismo. Alice fa gare da anni, ma ultimamente io e mio marito notiamo che è sempre tesa, ansiosa e, prima delle gare, fatica a prendere sonno. Le insegnanti ci sembrano molto stimolanti, però la nostra preoccupazione è che Alice possa vivere uno stress, legato anche alle aspettative delle allenatrici. Che fare? Alice adora la ginnastica e le sue insegnanti.

 
I genitori di Alice pongono una domanda fondamentale, soprattutto quando si parla di sport in infanzia o in adolescenza. In queste fasi dello sviluppo, infatti, il corpo assume una grande importanza sia per quanto riguarda la crescita del soggetto, sia perché diviene lo strumento attraverso cui l’atleta diventa capace di realizzare gli elementi tecnici richiesti dalla propria disciplina, imparandoli e perfezionandoli. La preoccupazione che i genitori di Alice esprimono nella lettera evidenzia il rischio che allenatori e team mettano troppa pressione e aspettative su un giovane atleta che mostra un particolare talento. È senza dubbio importante che i tecnici possano individuare e preparare in maniera adeguata chi, fin da piccolo, mostra specifiche potenzialità e capacità. Allo stesso tempo è necessario, soprattutto durante l’infanzia, rispettare e comprendere i tempi di sviluppo psicologico del soggetto, in modo consono, cioè senza pressare eccessivamente. Le forti aspettative di un allenatore possono infatti produrre, nel piccolo atleta, ansia e tensioni.
È necessario creare dei programmi di allenamento che permettano sia al giovane di acquisire e consolidare quelle capacità motorie che gli consentono di raggiungere livelli di competizione adeguati alle sue potenzialità, sia di rispettare i tempi di crescita e sviluppo del singolo. L’attenzione dell’allenatore e di chi si occupa della preparazione atletica, anche in virtù dell’importante funzione educativa dello sport, dovrebbe sempre tenere conto anche degli aspetti che riguardano la sfera personale e psicologica del giovane, al fine di evitare la pericolosa spaccatura tra i tempi di sviluppo del soggetto e una preparazione atletica precoce e iperspecializzata (il cosiddetto superallenamento), che rischia di scontrarsi, poi, con i cambiamenti fisici e psicologici che la crescita puberale comporta. Solo così sarà possibile considerare lo sport come strumento di crescita positiva e globale della persona.
Forse, la preoccupazione dei genitori di Alice riguarda ciò che accade quando, a partire da uno spiccato talento, il bambino viene visto come un piccolo campione e allenatore e team lo pressano al fine di raggiungere miglioramenti e risultati nel minor tempo possibile. È bene tenere conto inoltre che, durante la pubertà, il corpo cambia, gli equilibri fisici del giovane si modificano e dunque ciò che prima all’atleta risultava facile e consolidato si mostra poi difficile, talvolta impossibile da realizzare con la facilità di prima. Ad esempio, gli elementi tecnici che in precedenza riuscivano senza particolari difficoltà, a partire proprio dalla struttura corporea ancora infantile, diventano poi più complessi, quasi “come nuovi”. Ecco allora che l’atleta si trova a fare i conti con un corpo che non è più totalmente manovrabile ma anche con le aspettative dei tecnici che non vuole deludere. Tornando alla lettera iniziale, è allora fondamentale che l’allenatore consideri bambini e ragazzi non solo come sportivi che possono raggiungere grandi risultati, portando prestigio al proprio team ma, soprattutto, come soggetti in costruzione, formati da tante
sfaccettature che lo sport può aiutare a sviluppare e valorizzare. È sempre importante che genitori e allenatori possano avere un dialogo, comunicare le eventuali tensioni che riscontrano nel proprio figlio. Il rischio implicito è l’abbandono precoce o lo sviluppo di grandi tensioni e ansie. Il giusto mezzo sarà allora rispettare i tempi e le esigenze di ogni soggetto affinché sia pronto e in grado di affrontare le sfide del proprio sport.
Ecco quindi l’importanza che l’ambiente sportivo sia un spazio protetto, sicuro e sereno, in cui vigono ascolto e rispetto. Infatti, solo all’interno di un luogo che rispetti i tempi e le caratteristiche di ogni soggetto che si sperimenta con il proprio sport, sarà possibile per il bambino imparare: imparare a conoscersi, imparare ad allenarsi e imparare qualcosa della vita.
 
Certamente lo sport ha una componente prestazionale che non va sottovalutata, bambini e
ragazzi però hanno bisogno di giocare. Con il gioco infatti, fin da piccoli, imparano a conoscere il
mondo, se stessi e gli altri: sperimentandosi e crescendo. Allo stesso modo lo sport dei più piccoli
deve essere un’occasione di divertimento, attraverso cui conoscere il proprio corpo, sviluppare le
capacità motorie, stringere relazioni con i pari e con altre figure significative e, ugualmente,
imparare il rispetto, anche per sé. Tramite il gioco, dunque, si trasmettono sensazioni e valori e così,
attraverso lo sport, un bambino può allenarsi a crescere. 

Dott.ssa Sofia Gallarati – Dottoressa in psicologia, Membro équipe Associazione Pollicino e Centro Crisi
Genitori Onlus

(Pubblicato su: BenEssere, Rivista Edizioni San Paolo, Luglio 2019)

SENO E BIBERON, DUE CULTURE A CONFRONTO: NUTRIRE E NUTRIR-SI

 

“Vorrei smettere di allattar al seno, per essere più libera e anche meno stanca – scrive Giulia, una giovane mamma – ma mi sento in colpa e so che il pediatra non sarebbe d’accordo. Così ho pensato di rivolgermi ad una psicologa perché mi dia un consiglio su cosa è meglio per il mio bambino”
 
Quante volte capita di essere interpellati rispetto a dubbi delle mamme riguardo l’allattamento e lo svezzamento. I tanti interrogativi che inquietano le donne alle prese con la nutrizione del figlio concernono sia aspetti qualitativi – cioè relativi all’apporto nutritivo più o meno ricco dell’allattamento al seno o al biberon – ma anche quantitativi, relativi soprattutto al numero delle poppate. Tuttavia, come emerge dalle parole di Giulia, tali dubbi non si esauriscono nella mera funzione nutritiva, viceversa coinvolgono le emozioni, i vissuti intimi di ogni madre. Ecco perché dal punto di vista psicologico, non è mai bene generalizzare: ogni allattamento è una cosa a sé, unica ed originale, proprio perché riguarda due esseri e una relazione che piano piano sorge e si tesse, sempre diversa l’una dall’altra. È senz’altro vero che oggi prevale una cultura che incoraggia l’allattamento al seno: ma è legittimo chiederci se una neomamma sia sempre in grado di scegliere liberamente e serenamente come nutrire il proprio bimbo. Laddove una mamma si sente costretta ad esempio ad allattare al seno, può veicolare emozioni contrastanti insieme al latte, frutto di una scelta non maturata consapevolmente e in libertà. Certamente
l’interlocutore privilegiato è il pediatra, soprattutto se sensibile alla necessità di far prevalere nelle sue risposte una scelta consapevole e sintonica della madre rispetto alla forma di allattamento scelta, senza medicalizzare e/o demonizzare una delle due. Se ci soffermiamo sul concetto di cultura, anche rispetto all’allattamento naturale o artificiale, si evidenzia come tale termine significa coltivare, avere cura con attenzione e riguardo e anche come sia proprio la cultura a precedere il culto. Mi domando dunque se in fondo e anche all’origine, allattare il proprio figlio, non implichi innanzitutto un dono, più che una funzione. Quale dono? Il dono di una cura amorevole e “magica” e non solo ricca di principi nutritivi. Infatti il piccolo umano, quando piange, non chiede solo quell’oggetto (latte) che soddisfa il suo bisogno (fame-sete), ma domanda altro, che non si identifica con il bisogno ma che riguarda il piano degli affetti, della domanda d’amore. Mi riferisco alla costellazione emotiva che l’abbraccio tra la mamma e il piccolo sprigiona, durante la poppata. Il contatto tra i corpi, il calore, l’odore, i suoni e, in particolare, lo sguardo reciproco. Il “cibo per il cuore” è l’alimento più prezioso affinché il primo incontro con la vita possa essere una buona esperienza, arricchente i due soggetti impegnati all’inizio di un’esistenza: mamma e neonato. Una madre può donare il seno o il biberon al proprio figlio, facendo di questo incontro un momento magico, solo se tale atto è in sintonia con la propria scelta interiore, cioè se è riuscita a viverlo prima nell’intimo delle proprie emozioni. Tale armonia interiore può senz’altro pacificare contrasti e conflitti, interni ed esterni, e rendere l’allattamento quel momento iniziale e unico nel quale il piccolo può sentirsi risposto alla sua domanda d’amore, cioè al suo desiderio di sentirsi accolto, desiderato, curato con riguardo e amore. 
 
Affinché l’esperienza dell’allattamento abbia un buon avvio è necessario, nella prospettiva
psicologica, un’armonia, una serenità nella madre rispetto alla scelta del tipo di
allattamento.
Il bambino allattato non è solo nutrito, dunque passivo, ma si nutre di un “cibo” particolare
che non si compra al supermercato, che va a riempire il cuore e rispetto al quale seno e
biberon non fanno differenza.
E’ importante il sostegno non solo del pediatra, ma soprattutto del compagno, del padre,
laddove in particolare l’allattamento naturale mette in gioco il rapporto intimo di una
donna con il proprio corpo, con la libertà, la sessualità e lo stile di vita scelto sia
soggettivamente, sia in armonia con la vita di coppia.
Nella lettura della psicoanalisi il cibo (latte) è metafora dell’amore proprio a partire dal suo
sorgere all’interno di un’esperienza affettiva, di una relazione nella quale, oltre alla
veicolazione di sostanze nutritive e all’appagamento di un bisogno, inizia a tessersi un
legame d’amore.

Dott.ssa Pamela Pace – Psicoanalista, Psicoterapeuta, Presidente Associazione Pollicino e Centro
Crisi Genitori Onlus

(Pubblicato su: BenEssere, Rivista Edizioni San Paolo, Settembre 2016)

GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA RISPETTO ALL’ALIMENTAZIONE

 

Non si parla spesso di obesità infantile, una sofferenza “muta” e fuori dai riflettori sociali, ma durante la pandemia le indagini statistiche hanno rilevato un amento del numero di bambini sovrappeso, probabilmente da legarsi agli effetti del lockdown, dello stress e della riduzione delle attività sportive. È importante non sottovalutare obesità e iperfagia che sollecitano di sovente solo l’interesse medico-nutrizionale, ma possono nascondere una profonda sofferenza psicologica.
 
Buongiorno,
sono mamma di 3 bellissimi bambini, di 8, 5 e 2 anni. Negli ultimi mesi mi stanno facendo impazzire a tavola. Se ci penso bene però, credo che le bizzarrie e le numerose richieste siano iniziate nel periodo della pandemia, da lì maggiore rigidità e a tratti faccio davvero fatica. Che ci sia qualche effetto di quel tempo così particolare?
Marisa
 
Alimentazione e pandemia, due mondi che potrebbero sembrare distanti, ma che in realtà, come ci racconta Marisa, si intrecciano con effetti e fatiche che possono farsi sentire soprattutto nei piccoli. Il lockdown è stato ben descritto nella richiesta di aiuto di questa mamma: “Un tempo particolare”, del quale ancora oggi si scoprono man mano gli effetti. Provando a fare un salto indietro in quei mesi straordinari fatti inizialmente di silenzi per le strade, bambini e genitori a casa tutti insieme, lunghe file al supermercato, possiamo cogliere quanta fatica possa aver poi comportato la ripresa graduale della vita come la si conosceva prima, con le riaperture dei luoghi sociali e con il ritorno alle vecchie abitudini.
Marisa non entra nel merito di quali difficoltà stia affrontando con i suoi bambini, ma le riassume con “bizzarrie e numerose richieste”. Il luogo della tavola, proprio perché occasione conviviale che riunisce la famiglia, diventa spesso un teatro, dove i più piccoli possono mettere in scena le loro fatiche. Non dimentichiamoci infatti che in questi due anni, nonostante i diversi periodi di isolamento e le mancate interazioni sociali, bambini e ragazzi hanno portato avanti la loro avventura della crescita, fatta di passi avanti e conquiste, ma anche di dubbi e paure. Il comportamento alimentare alterato, con bizzarrie, iper-domande, selettività, può essere allora veicolo di messaggi, espressione di un malessere, di una richiesta di attenzione, talvolta anche solo di un interrogativo che attraversa i bambini in un particolare momento di crescita. Se ci pensiamo bene, il tempo della pandemia ha portato nelle famiglie il modificarsi di molte abitudini legate al cibo e alla tavola: lo spazio dedicato ad argomenti specifici come l’igiene, i virus, la protezione e anche nuove attenzioni e routine, che non è stato facile poi abbandonare. È comprensibile quindi che a Marisa sembri di impazzire, perché anche gli adulti sono provati ed affaticati da questo periodo di pandemia, ma la sua intuizione come genitore è preziosa: che sia l’effetto di questo tempo
particolare? Accompagnare i bambini nella crescita a partire dalle proprie intuizioni genitoriali è un’ottima modalità per accoglierli, offrendo anche un esempio di come confrontarsi con sfide e fatiche, così da farli sentire ascoltati e protetti.

Dott.ssa Valentina Valaguzza – Psicologa, Membro équipe Associazione Pollicino e Centro
Crisi Genitori Onlus

(Pubblicato su: BenEssere, Rivista Edizioni San Paolo, Dicembre 2022)

DI FIORE IN FIORE

Il percorso di consapevolezza del disturbo alimentare raccontato dai genitori

Il percorso di consapevolezza del disturbo alimentare raccontato dai genitori

Il libro offre una prospettiva insolita sui disturbi del comportamento alimentare (DCA), attraverso il racconto del percorso di consapevolezza e di cambiamento intrapreso da un gruppo di genitori con figli affetti da anoressia e bulimia nervosa. Nei diversi capitoli vengono affrontati i temi che i genitori hanno esplicitato nel lavoro svolto insieme: la complessità della malattia, la natura dei rapporti familiari, la consapevolezza emotiva, il ruolo dei significati e il tempo della cura. È un libro scritto da genitori che da tempo convivono con i DCA pensando a quei genitori che invece hanno appena cominciato a conoscerli: una mano tesa verso altri che stanno incontrando le medesime difficoltà, per aiutarli ad ascoltare il loro senso di inadeguatezza e a orientarsi in un mondo di equilibri complicati ed emozioni nascoste.

A cura di Alessandro Chinello e Camilla D. Quarticelli

Edito da Edizioni Centro Studi Erickson